Usare la vita TRATTO DA Buddismo e Società n.121 – marzo aprile 2007

Il karma diventa missione scegliendo di affrontarlo e di dimostrare agli altri come funziona
la Legge di causa ed effetto
Non cercare lontano. Non sfuggire il vicino.
Quante volte abbiamo sentito il peso del nostro presente: faticoso, opprimente, doloroso, inadeguato a noi. E
abbiamo sopportato tale peso con l’unico obiettivo di trovarci finalmente altrove per poter stare meglio, lontano
da questo presente che ci è capitato come un’ingiustizia, una sfortuna, una strettoia che dobbiamo attraversare
il più in fretta possibile.

Dal punto di vista del Buddismo, fare così vuol dire buttare via la nostra occasione e continuare a perdere tempo.

Perché è pura illusione, per il Buddismo, considerare i problemi un ingombrante e doloroso accidente da
aggirare o neutralizzare per poi finalmente stare tranquilli. I nostri problemi, tutte le sfide o le difficoltà di cui
volentieri faremmo a meno, sono il nostro tesoro. Il nostro unico e inevitabile terreno per sperimentare la Legge
di causa ed effetto.

La nostra unica occasione di trasformazione e risveglio, per noi e per chi ci sta accanto.

Il karma che noi stessi abbiamo scelto per poter manifestare la Buddità. La nostra missione.

Missione.

In giapponese il termine usato è shimei, che significa letteralmente “usare la propria vita”. Un invito a
utilizzare ciò che sta vicino e a non cercare lontano. A mettere in campo i dolori e le speranze che abbiamo a nostra disposizione, proprio quelli che ci inseguono e sembra ci perseguitino, e farne il nostro punto di partenza.

La materia prima per andare di fronte al Gohonzon e recitare con tutto il cuore per raggiungere lo stato vitale che desideriamo e che ci dà gioia. Sperimentando ancora una volta l’insegnamento più profondo e sottile del Buddismo rivelato dal Daishonin: cioè che la soluzione – alla sofferenza, all’ignoranza, alla finitezza –
è qui, vicinissima, anche se non è facile da vedere.

Perché l’unica differenza tra un Budda e un comune mortale è che il secondo non sa di esserlo ma va alla ricerca di qualcosa al di fuori che appaghi e dia risposte.

Questa è la verità più profonda e sottile racchiusa nel meraviglioso insegnamento del Sutra del Loto predicato
da Shakyamuni e ripreso da Nichiren Daishonin.

Nichiren insegna che riconoscere che noi siamo Budda e che lo sono pure tutti gli altri, e agire di conseguenza, è la causa positiva fondamentale da cui scaturiscono tutti gli effetti benefici.

Mentre non credere in questa realtà è la causa negativa fondamentale, l’offesa alla Legge, che ha come effetto la sofferenza.

«Offendere la Legge significa non credere, dubitare dell’esistenza della natura di Budda in noi e negli altri.

Questo dubbio è la causa fondamentale che impedisce alla Buddità  di emergere e che genera vari tipi di karma negativo. Sradicare
questo dubbio e far emergere il mondo di Budda è la legge causale più importante che ci rende possibile
cambiare il karma» (MDG, 2, 49).

Questo passaggio è essenziale. Perché sgombra il campo da ogni sorta di elucubrazione o congettura su quale
causa positiva si debba mettere per ottenere quel particolare effetto positivo o superare quel particolare effetto
negativo. A questo punto è chiaro: il semplice atto di cercare con il Daimoku la nostra Buddità per affrontare una sfida è la causa positiva fondamentale che ha come conseguenza di illuminare tutti gli effetti dannosi delle cause negative poste in innumerevoli vite precedenti, destituendoli di ogni potere di farci soffrire, rendendoli
occasione per crearevalore, comprensione, realizzazione, e dunque sostanzialmente modificandoli di segno.

Guardando dritto in faccia il nostro karma e cogliendone il vero significato, ogni avversità può aiutarci a condurre una vita più ricca e feconda, dice il presidente Ikeda.

Inoltre, le azioni che compiamo per combattere il nostro karma diventano un esempio e una fonte di ispirazione per altri (Ibidem, 54).
Senza soluzione di continuità: affronto il mio karma, e di questa impresa faccio la mia missione, che abbraccia
anche gli altri.
Perché usando la mia vita, “cogliendo il vero significato” di un mio problema, di un mio dolore, di una mia
frustrazione attraverso il Daimoku, scopro qualcosa che non riguarda solo me ma riguarda il funzionamento
profondo della vita che appartiene a ogni individuo, scopro in me l’eternità della Legge mistica di causa ed
effetto, la capacità concreta che abbiamo di vivere uniti come esseri umani attraverso le uniche e irripetibili
qualità di ciascuno e di ciascuna di noi.
Usare la vita, trasformare il karma in missione, vuol dire dunque prendere la vita molto sul serio, perché quello
che facciamo e che non facciamo, quello che comprendiamo e cosa diventiamo riguarda profondamente anche
la vita degli altri. E non solo: nel momento stesso in cui decidiamo di considerare il nostro karma come la nostra
missione diventiamo persone che “hanno volontariamente assunto il karma appropriato” allo scopo di
diffondere la Legge mistica. Proprio come quei grandi bodhisattva descritti nel decimo capitolo del Sutra del
Loto che scelsero di rinascere in questo mondo malvagio per propagare la Legge, animati dal desiderio di
salvare coloro che stavano soffrendo.

Usare la vita  di Marina Marrazzi